Era la mattina del 15 febbraio 1286 quando nella Rocca di Cerbaia si tenevano i pomposi festeggiamenti per le nozze dei due cugini “Orso del fu Conte Napoleone e Margherita del fu Conte Guglielmo, ambedue discendenti dalla famiglia degli Alberti signori della Valle del Bisenzio”; come racconta Vittorio Ugo Fedeli nei suoi “Fogli sparsi” dell’ “Edizione Rarissima” del Bollettino dell’Esposizione Artistica – Industriale di Prato del 1880. All’epoca il Conte Orso era “un bell’uomo in sui 35 anni”, descritto vivacemente dal cronista Fedeli mentre “aspettava ansioso il momento di partire per San Leonardo, ov’era situata la chiesa del feudo, splendidamente addobbata a ricevere gli sposi; e di quando in quando affacciavasi ai finestroni come per vedere se qualcuno sopraggiungesse.” Il Conte Orso aspettava suo cugino Alberto degli Alberti, conte di Celle che arrivò in ritardo scusandosi con una “forte indisposizione di salute che fu da ognuno creduta per vera, essendoché egli avesse il volto pallidissimo e l’orbite del colore del piombo”. Il Fedeli prosegue poi nel suo racconto descrivendo i festeggiamenti che si tenevano per le strade: “nella pubblica piazza alcuni menestrelli e giullari, chiamati da Firenze e da Bologna, sollazzavano i rustici terrazzani, che davansi ad un’allegria che mai la maggiore (…).Tavole piene di cibi e di vini di ogni sorta, apparecchiate in varii luoghi davano risalto a questa scena grottesca, che veduta da un abile pittore, ne avrebbe senza dubbio ideato una delle sue più pregevoli tele.”
Ed ecco che iniziarono le danze e il Fedeli descrive gli sguardi tra il Conte di Celle e Margherita, la sposa del Conte Orso. Descrive l’inquietudine di lei agli sguardi insistenti dell’uomo che ad un certo punto azzarda ad invitarla a ballare la “sarabanda”, tipico ballo medievale che “dava alle coppie ogni agio di parlare”, così il Conte Alberto dichiarando in un sussurro il suo amore alla donna: “Ricordatevi, bella cugina, ch’io dovea essere vostro compagno inseparabile, e che mi rifiutaste. Io vi amava immensamente, e per voi avrei dato vita, gloria, tutto, anche la salvazione dell’anima. E mi avete odiato”. Ella non rispose e finito il ballo si andò a sedere, cercando invano lo sposo che non era nella stanza. Anche il Conte Alberto si accorse dell’assenza del cugino e lo andò a cercare per parlargli. Quando lo incontrò lo portò in una stanzetta appartata del castello chiudendo la porta con il “catorcio”. “Le orbite del colore del piombo del Conte di Celle si fecero più nere, ed i suoi occhi grigi scintillarono ferocemete” mentre iniziava a parlare: “Tu conosci, cont’Orso, l’istoria delle nostre famiglie: sai che tuo padre Napoleone uccideva mio padre Alessandro per ispogliarlo dei beni che il nostro avo Alberto aveagli a preferenza lasciati. Il fatto è omai noto a tutti; e darà forse argomento di canto a qualche poeta, che noterà d’infamia ambedue, essendoché fossero due tremendi tiranni. Nonostante il Conte Alessandro era mio padre, ed a me spetta vendicarlo. Queste parole pronunziate con una certa aria di mistero, fecero impallidire il cont’Orso, ch’era d’animo debole e timido, e che conosceva qual terribile barone fosse il suo cugino”. L’attimo di terrore descritto dal Fedeli, appare come congelato in un tempo infinito, che ancora sembra di sentir sussurrare intorno alle rovinose mura della Rocca di Cerbaia. Un attimo di terrore che si concluderà con l’uccisione del Conte Orso per mano del cugino. Dopo averlo addirittura esortato a far testamento, gli tagliò la gola per amore e per vendetta.