“La pittura è una maniera di esistere” – Mario Schifano.
Il 20 luglio 2013 si è inaugurata una mostra dedicata al primo decennio di attività del grande artista “Mario Schifano 1960 – 1970”. E’ un tuffo tutto nei colori: quelli della Toscana con i suoi paesaggi dalle mille sfumature che giocano insieme a quelli del mare di Castiglioncello. Entrando nel Castello Pasquini, fantastica costruzione in stile neomedievale di fine XIX secolo, si prosegue il viaggio nei colori con gli affreschi dello scalone d’ingresso.
Sono gli anni Sessanta quelli che ci fa rivivere pienamente Mario Schifano: sono i più interessanti nella sua ricerca artistica e, allo stesso tempo, sono quegli che vedono l’arte farsi attentissima portavoce di enormi cambiamenti sociali e culturali che abbozzarono quella stessa realtà nella quale oggi viviamo. Si è parlato per Schifano di arte informale o “pop art” italiana, sicuro è che, come molti artisti contemporanei, non amava essere rinchiuso in etichette di vario genere, si limitava ad esercitare la sua “efficace capacità, insieme critica e poetica, di leggere la contemporaneità, gli scenari metropolitani, i riflessi della pubblicità, i frammenti di cronaca…”, usando le parole del Sindaco di Rosignano Marittimo Alessandro Franchi.
É nella prima sala che ci da il benvenuto il “Vero amore incompleto”, smalto su carta intelata del 1962. Pennellate di blu intenso possono diventare, nell’immaginazione di chi osserva, un cielo sgocciolante che ingloba lentamente la terra con la sua materia.
Schifano nei suoi dipinti usava spesso gli smalti che lasciava vivere, muovere, come consistenti carezze, nel caso del Vero amore, non sopra una candida tela, ma sulla sensibile ruvidezza di una carta da pacchi. I colori letteralmente agiscono venendo liberati sulle superfici, creando loro stessi forme e consistenze: si svelano, silenziosi e lucenti.
Come Pollock, Mario amava dipingere per terra, entrando letteralmente “dentro” la sua materia pittorica. D’altra parte, erano gli anni in cui la vita viene letteralmente immessa nell’opera d’arte, catturandone il respiro, le impercettibili sensazioni, tracce e impronte fuggevoli di un’azione, quella della creazione, dove la fisicità del fare diventa parte integrante dell’opera finale. In “Studio per Grande pittura”, del 1963, contro ogni aspettativa, si trova disegnata l’ “impalcatura” che è servirà per realizzare l’opera e non la struttura e la progettazione dell’opera stessa. Al posto dei personaggi, attori sul palcoscenico della rappresentazione, si trovano abbozzati barattoli di vernice, con indicati i colori contenuti e come non posizionarli per non farli cadere.
I colori di Schifano catturano con le loro consistenze, anche se l’artista ne usava pochi su di una stessa opera, massimo due e numerosi sono i suoi “monocromi”. Le prime sale della mostra di Castiglioncello sono dedicate in particolare alle sue “finestre”, rettangoli colorati, enigmatiche aperture verso un mondo che non descrive, un panorama che non svela se non è capace di farlo l’immaginazione di chi lo osserva.
Eppure quel mondo impercettibile di là da quelle finestre stava cambiando e già si delineavano i suoi contorni, quelli dei cartelloni pubblicitari, delle immagini televisive, delle “immagini di massa”, di parole che diventano marchi e modi di vivere, così la Esso e la Coca Cola…
“O uno andava nelle strade e guardava i cartelloni pubblicitari o andava nelle gallerie a vedere i quadri informali. Stranamente per me e altri pittori – diceva Schifano – era quello che si trovava all’esterno delle gallerie che ci solleticava”. Molte sono le opere contemporanee che prendono ispirazione dalla celebre bevanda americana, ma in tutte quelle di Mario, quella stessa scritta viene “affogata” in un magma pittorico, privando il messaggio di quella sua forza evocativa subito riconoscibile.
La scritta Coca Cola diventa forme, linee, colori sgocciolanti, superfici dove lo sguardo si ritrova a dover soffermarsi per capire, a percorrere quei perimetri curvi e sinuosi, la calligrafia di un messaggio nascosto, fuggevole e frammentato. É del 1962 il primo viaggio di Schifano a New York, è lì che verrà a contatto in particolare con l’arte di Andy Warhol. I “paesaggi italiani e incidenti” dell’artista romano sono suggeriti dalla serie degli “incidenti stradali” del maestro statunitense.
É anche il movimento ad interessare Schifano, come fu già per i Futuristi all’inizio del XX secolo. Era un mondo totalmente trasformato a partire dal tempo stesso a interessare la ricerca futurista, sfociato nella capacità di resa di quella frenesia contemporanea in un’immagine statica.
Numerose sono le “rivisitazioni futuriste” di Schifano, omaggi a Balla o a Carrà.
Mai, più che in questi tempi, l’uomo ha bisogno di contemplazione; vengono in aiuto allora i “paesaggi anemici” di Schifano, fatti di liquide campiture, dove il gesto diviene racconto i cui personaggi e contesti hanno bisogno di tempo, di attesa per mostrarsi. Paesaggi come “Entra nel mio occhio prima che nel sentimento” del 1965, si allontanano volutamente da ogni identificazione per approdare al territorio del sogno. Le tele iniziano a convivere con lisci materiali plastici come il perspex.
Schifano fu un grande sperimentatore di nuove tecniche pittoriche e fu tra i primi a far uso del computer per creare opere d’arte. In mostra si possono vedere le sue particolari “tele emulsionate” o anche “computerizzate”. Esse si basano su un elaborazione al computer per poi essere riportate su tela. Attraverso l’uso di particolari gel che vengono applicati con pennello si possono far assumere alla tela caratteristiche simili a quelle di una carta fotografica. Su di essa Mario interveniva con i suoi smalti. Sono i materiali della contemporaneità che trasformano l’esperienza visiva, come si vede nella serie “Tuttestelle” o in quella delle “palme”, proiezioni dei paesaggi artificiali riflessi dalle pubblicità ma anche ricordi delle notti vissute nei locali milanesi e romani, dell’infanzia che l’artista passa in Libia, dove nasce nel 1934.
Tuttestelle è una serie particolarissima di opere dove Schifano mostra le sue forme a smalto attraverso superfici plastiche lisce o al contrario rigate o puntinate, come nel caso di “Vicolo delle grotte 52”, dove le stelle appaiono solo quando ci si allontana dall’opera mentre, vicino, spariscono aldilà di una finestra aperta. Il disegno si trova dietro una superficie plastica a “buccia d’arancia”. Così, poeticamente, l’immagine scompare o si svela attraverso il movimento, la vita di colui che ha la pazienza di osservarla, pur nella frenesia di un tempo, quello contemporaneo, che inesorabile scorre, frenetico e terribile.
Per trovare il Vero amore incompleto:
Mostra a cura di Luciano Caprile con la collaborazione della Fondazione Marconi: Dal 20 luglio al 6 ottobre 2013 Castello Pasquini – Castiglioncello (Livorno)
Orario: fino all’8 settembre dalle 17:00 alle 24:00 – dal 9 settembre dalle 10:00 alle 18:00 Chiuso il lunedì e la biglietteria è aperta fino ad un’ora prima dell’orario di chiusura.
Biglietto: 5€ (intero) – 3€ (ridotto – per: persone over 65 anni; ragazzi fino ai 26 anni; gruppi di minimo 10 persone; soci TCI e UNICOOP Tirreno) – Gratis (bambini fino ai 6 anni)
Per info e prenotazioni: Centro per l’Arte Diego Martelli – tel. 0586 724287- 724530
mi dispiace non esser potuto venire.dopo picasso,gli espressionisti tedeschi,con il paesano lorenzo viani,schifano è trà quelli che più amo.saluti paolo tarabella