“La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti” – Johann Wolfgang von Goethe, (da Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister)
Dalla Tate Gallery; al MoMA; al Guggenheim Museum di New York, al Pompidou di Parigi; allo Stedelijk di Amsterdam, fino al National Museum of Western Art di Tokio, le opere dell’artista americano Paul Jenkins approdano al Museo di Pittura Murale di Prato e vi rimarranno fino al prossimo 30 novembre. Sotto questa nuova e suggestiva veste contemporanea riapre al pubblico il Museo di San Domenico, con un’inaugurazione che ha avuto un gran successo di pubblico. Gli spazi bellissimi del Museo, famosi per le sinopie di Paolo Uccello, erano rimati chiusi per ristrutturazione in seguito al trasferimento delle opere del Museo Civico, tornate lo scorso marzo a palazzo Pretorio dopo 16 anni di permanenza in San Domenico. All’inaugurazione, avvenuta sabato 27 settembre, doveva essere presente anche Suzanne Donnelly, moglie dell’artista, che non è potuta arrivare per motivi di salute ma che ha mandato una toccante lettera, letta durante la presentazione.
Nel 2010, la galleria Open Art di Mauro Stefanini organizzò a palazzo Pacchiani in via Mazzini, sempre a Prato, una visitatissima retrospettiva dedicata all’autore. Quest’anno proprio alla galleria, in collaborazione con la Diocesi e il Comune, si deve questa splendida iniziativa che vede l’arte contemporanea a Prato particolarmente amata e valorizzata. La mostra, che si intitola “The spectrum of light”, ospita 64 opere su carta e tela, realizzate da Jenkins tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sono gli anni in cui in America imperversa l’“Espressionismo astratto” di artisti come Jackson Pollock e Mark Rothko. Passando per le sale si possono ammirare, oltre i giochi di luce e colore, i continui riflessi come quelli delle opere sul pavimento.
La pittura di Jenkins ha un sapore “romantico”, una “potenza” visiva che richiama quelli che furono i suoi modelli indiscussi come Goya, Rembrandt e Velazquez, ma anche Vermeer e Bellini. “An abstract phenomenist”, così a Jenkins piaceva considerarsi, “fenomenista astratto”, perché la sua ricerca coloristica è fortemente influenzata, nei primissimi anni sessanta, dai fenomeni luminosi, in particolare dalle teorie del colore di Goethe e dal suo prisma che indagava la scomposizione della luce in fasci colorati.
Sgocciolature e “versamenti” di colore sulle superfici pittoriche creano veri e propri paesaggi e forme in continua metamorfosi. Una tecnica che non manca di esistere anche nel modo di firmare le tele, creando linee sinuose che si espandono dal centro verso l’esterno.
I titoli della maggior parte delle sue opere iniziano con “Phenomena”, seguito da una parola chiave o una frase. Come lo stesso artista rivela sono le sue pitture ad imporgli i titoli, che scaturiscono così in una sorta di conversazione silenziosa e profondissima tra artista ed opera.
Paul amava studiare il colore in un processo di metamorfosi continua e inarrestabile, le sue composizioni sono umide “atmosfere”, fatte di pioggia, sole, oscurità, nubi ed arcobaleni. Il suo modo di creare è simile al modo di usufruire delle opere teatrali (l’altra sua grande passione oltre la pittura): fermarsi ad osservare i movimenti degli attori sulla scena, come i colori sui supporti pittorici.