“Quest’opera ha inizio adesso che la punta della penna ha toccato il foglio bianco, al buio, in una notte di mezza estate e coi suoni del sonno intorno. Sarà un’opera sofferta, nasce indecisa e confusa, traballante e incomprensibile” – dal diario della mia ricerca.
“Riparazioni”, realizzato in occasione del Festival “l’Eredità delle donne”, è stato essenzialmente un percorso, una ricerca di me stessa e, proprio come percorso e ricerca, trova il suo senso più profondo. Realizzare un lavoro artistico è una delicata impresa interiore perché aldilà dei segni, delle forme, che si materializzano via via, c’è la persona che lo realizza, la sua mano che trema, il suo cuore che batte in una danza di emozioni contrastanti, c’è la paura di fallire, di non essere in grado. C’è anche l’energia vitale che comunque vada tu sei lì, in quel momento, ad esprimere te stesso, senza veli e con i tuoi sogni sulle spalle. Come diceva una delle mie artiste preferite, Louise Bourgeois, l’opera è un combattimento all’ultimo sangue tra l’artista e i suoi materiali, tra l’artista e la sua idea e il modo, le tecniche da usare per renderla visibile.
E sono proprio gli scritti della Bourgeois ad avermi accompagnata quotidianamente attraverso i suoi pensieri. Per questo parti integranti dell’opera, o meglio del percorso, sono il libro “Distruzione del padre Ricostruzione del padre” e un piccolo diario sul quale, giornalmente, ho annotato difficoltà, fallimenti, frustrazioni, paura di non farcela, sogni, speranze… Tutti quei sentimenti che accompagnano inevitabilmente la propria ricerca espressiva.
Come comunicare ciò che si ha dentro? Con quale mezzo e in quale modo?
Via via che leggevo gli scritti di Louise, ritrovavo, puntualmente, riflessioni che questo lavoro mi portava a fare in prima persona. La mia relazione così profonda e faticosa con l’artista è rimasta impressa nella materia del libro: via via la fotografia in bianco e nero del suo volto sulla copertina si sbiadiva, si dissolveva, perdendosi inevitabilmente, ogni giorno un po’ di più. Il libro stesso ha subito riparazioni attraverso cuciture di parti altrimenti disperse.
In questo percorso mi sono trovata a passare da un caos enorme di idee: una scultura in legno o in creta, un lavoro con carte e stoffe… poi, ho trovato una foglia. Una semplice, banalissima foglia, non bella e perfetta ma al contrario semidistrutta, la sua situazione non era più nemmeno precaria, in bilico tra caduta e ultima speranza di aggrapparsi a qualcosa.
Non si trovava su un albero ma per terra, calpestata e mangiata da creature misteriose, minuscole e silenziose. L’ho raccolta, così perduta, e l’ho portata a casa. Da lì è cominciato il desiderio di riparazione, ricostruzione, recupero di ciò che è andato inevitabilmente e disperatamente perduto.
In realtà anni prima mi era capitato di raccogliere una foglia lacerata e mi avevano colpito proprio le parti mancanti. Mi sembrava un ferito caduto nella grande guerra della vita. Le lacerazioni mi sembravano piaghe e così, dopo averla colorata di nero, la attaccai a della garza mentre nella lacerazioni inserii cuciture rosse. Poi, me ne dimenticai…
Ma le idee non muoiono, si sedimentano, si espandono, si diffondono, si trasformano.
La tela è pensata sospesa ad un ramo di un albero. Ogni ramo tiene aggrappata una foglia, così per la foglia di fico in alto.
Fluttuante, la tela si muove ai movimenti che ci sono intorno a lei, come al vento, e permette di girarci intorno e vederla anche sul retro. In questa maniera anche chi osserva sarà coinvolto nella ricerca di identità degli elementi.
Tutti i frammenti di piante presenti nell’opera, li ho trovati intorno a me cercando di vedere quello che è più invisibile, rovinato, inutile. Le foglie per esempio che mi hanno più emozionato sono quelle dove ne è rimasto solo lo “scheletro”. Queste sembrano già tessute e serbano nella loro struttura la memoria di un fremito passato.
É iniziato il lavoro di cuciture, dove ogni filo e consistenza è stato pensato e trovato cercando di recuperare quella memoria della pianta, le sue forme, i suoi colori, le sue consistenze.
Questo lavoro ha via via coinvolto persone intorno a me che si sono incuriosite, si sono create relazioni, nella ricerca di materiale e nelle cuciture divenendo tempo da passare con qualcuno che si ama. Mia madre in particolare ha tessuto con me parti di trame, è divenuto un modo per raccontarci e stare insieme. Lei voleva fare la sarta ma prima le scelte erano molto più condizionate. È straordinaria la serenità che ti può dare fare qualcosa di creativo, lasciare una traccia di te, di noi in questo mondo.
L’opera è significativa per me sia nella parte anteriore che posteriore. Nella parte anteriore le piante, come naufraghi nello spazio, cercano un loro posto, una relazione inaspettata con gli altri. In alcuni casi si uniscono, creando nuove piante e portando con sé i propri difetti, ferite, lacerazioni, protesi.
Nella parte posteriore le sole cuciture formano nell’insieme come delle costellazioni, una misteriosa mappa, e le parole scritte in grafite rappresentano un’ennesima ricerca che il lavoro mi ha portato a compiere: quella sull’identità.
In alcuni casi non è stato possibile recuperarla per questo le scritte: “disperso”. perché a ogni ricamo sul retro corrisponde il nome o al contrario la perdita di identità del frammento di pianta raccolta.
Ed è per l’osservatore un continuo movimento tra la parte davanti e la parte retrostante dell’opera per cercare le effettive corrispondenze, in un gioco di rimandi. I nomi delle piante, scritti in grafite, solo in rari casi sono derivati dal ricordo del momento della raccolta e dall’osservazione della “pianta madre”, nella maggior parte dei casi i nomi li ho dovuti ricercare.
Per questo mi ha aiutato l’app plant che permette di fotografare foglie, fiori, pezzi di pianta per risalire alla sua possibile identità. Naturalmente questo è molto difficile quando il frammento ha ormai perso troppo di sé; in una una ricerca possibile o impossibile delle origini, delle radici, del senso della propria esistenza.
Frammenti sono anche le parti di tela ricomposte poi alla fine in un’unica composizione, richiudibile a libro, come un catalogo delle fragilità, delle memorie, dei fallimenti ma anche della voglia di ricominciare e non arrendersi.
Mi piace anche pensare all’idea, altrettanto fragile, che via via che parti delle mie piante curate si disperdano, qualcuno possa di nuovo un giorno cercare di ripararle, un’altra volta.
Per maggiori informazioni su questo tipo di opere che realizzo scrivimi a: [email protected]