Archivi categoria: Esperienze con le opere d’arte

L’abisso esistenziale nell’arte contemporanea americana (prima parte)

Noi ci costringiamo a non percepire il nostro abisso. Eppure, per tutta la vita, non facciamo altro che guardare giù, al nostro abisso fisico e psichico, pur senza percepirlo”.

Thomas Bernhard, Perturbamento, 1967

Inquietudine, ansia, senso di gelo, vertigini, panico, insicurezza, smarrimento: questi i sintomi che si stanno diffondendo all’interno della società contemporanea occidentale.

La nostra storia prende le mosse dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti si affermarono come centro globale dell’arte moderna. Già con l’Espressionismo astratto, l’attenzione internazionale si era rivolta ad una cerchia di artisti attivi a New York. In particolare alla fine degli anni 60 si assiste ad una straordinaria proliferazione delle pratiche estetiche più diverse che avevano in comune una ricerca rivolta all’uomo e e al suo nuovo rapporto con l’ambiente circostante e con sé stesso. Un ambiente che si vedeva sempre più sconvolto nei valori e nelle certezze a partire proprio da quelle realtà più intime della vita: la casa e la famiglia.

La casa: nell’immaginario collettivo luogo d’intimità e di protezione, rifugio e salvezza. Nella storia dell’uomo siamo passati dalla grotta, dalla tenda, dalla capanna fino alle più moderne strutture abitative. Dalla fragilità alla sicurezza, o forse il contrario?

«La casa non è soltanto un luogo, ma anche il fascio di sentimenti associato a esso», questa la definizione di una struttura tanto simbolica nella nostra esistenza, data dallo psicologo statunitense Renos Papadopoulos, che ha analizzato e trattato la psicologia dei rifugiati.

Thomas Doyle, che si forma come pittore e grafico anche se lavora principalmente come scultore di miniature in scala, ha rivolto la sua ricerca artistica all’analisi psicologica inerente la casa e la famiglia americana, individuandone puntualmente i paradossi. Il suo è un lavoro meticoloso, paziente, delicato e narrativo: ci presenta la classica abitazione che ogni americano medio sogna: villettina colorata monofamiliare immersa in un bel prato all’inglese, perfettamente curato e pulito. E in realtà sembrano proprio dei diorami i quartieri, le cosiddette “subdivision”, esteticamente bellissime ed assolutamente pulite. All’interno di esse le persone sono educate e salutano sempre; entrare in uno di quei quartieri, dove tra l’altro le case sono più o meno tutte uguali, è come entrare in un film.

Thomas Doyle Slighting (2010) tecnica mista

Ed è qui che veniamo catapultati da Doyle con i suoi diorami, ambientazioni in scala ridotta che rivelano una tecnica di restituzione meticolosa della realtà, qualità questa che lo aveva affascinato fin da bambino. Ed è a tre anni che costruisce il suo primo diorama con un pezzo di legno: un piccolo pinguino immerso in un paesaggio di mare e neve. Amava costruire anche case per bambole utilizzando scatole da scarpe; come tutti i bambini, giocare con i soldatini e a far muovere figurine ma Doyle ha portato questa passione di bambino all’interno della sua affascinante ricerca artistica. Per la creazione dei suoi mondi utilizza una grande varietà di materiali, anche se principalmente sono gesso, gomma e cartapesta.

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Gaetano Esposito: L’arte della preghiera e il misterioso fascino del peccato

Si sente veramente un silenzio, pastoso e delicato, al guardare una giovane ragazza tipicamente del sud con quei suoi capelli corvini che tanto si sposano bene con il luminoso rossore delle grandi gote.

E poi tutto il resto si spegne, improvvisamente, come una lampadina ed il resto del volto viene cancellato da una pesantissima ombra scura.

“Tentazione” si chiama l’affascinante opera dell’artista salernitano Gaetano Esposito, splendido ed introverso pittore, allievo di Domenico Morelli, nato nel 1858 e morto tragicamente suicida nel 1911. Personalità estremamente sensibile come lo si vede anche nel suo modo di dipingere, così intenso ed emotivamente coinvolgente, pose fine alla sua vita proprio traumatizzato dal precedente suicidio di una sua allieva che si era innamorata di lui e che lui aveva respinto. Purtroppo sorte tragica hanno subito anche le opere del sublime artista, la maggior parte delle quali sono o tragicamente scomparse o vendute all’estero.

Con un titolo come tentazione non poteva mancare la rappresentazione di una bella e giovane donna, vestita di un abito attillato nero. La composizione ruota sulle sinuose mani intrecciate su quel rosario dimenticato da un interesse verso qualcos’altro, chissà cosa, che ne rapisce così intensamente l’attenzione. Estremamente romantica è la visione di Esposito della fragilità di questa piccola donna, attraverso una pittura resa con pennellate pastose e tremanti come a immortalare quel fremito del corpo della protagonista. Una pittura che riporta alla tradizione caravaggesca di inizio Seicento, quando il gioco di luci ed ombre diviene fortemente simbolico e ricco di messaggi: le zone più intensamente illuminate sono il bene, mentre quelle in ombra rappresentano il male, il peccato, l’oblio, la fragilità della condizione umana.

Realizzata nel 1883, l’opera su tela apparteneva ad una ricca collezione campana, mentre attualmente è di proprietà della collezione d’arte del San Paolo Banco di Napoli e visitabile presso il Museo Pignatelli del capoluogo campano.

Curiosità sul rosario

Oggetto ricco di storia il rosario, le cui origini vanno ritrovate addirittura nei secoli III e IV, ai tempi dei monaci del deserto che vivevano da eremiti. Essi avevano infatti l’abitudine di contare le preghiere con una cordicella annodata.

L’origine dei grani va invece ritrovata in epoca medievale, quando si usava mettere una corona di rose sulle statue della Vergine, a simboleggiare le preghiere “belle” e “profumate” rivolte a Maria. Rose che poi si sono appunto trasformate in grani, che anch’esse servivano, e servono tutt’ora, a guidare la meditazione contando le preghiere. Naturalmente i materiali di questi grani erano diversi a seconda del proprietario, potevano incorporare anche reliquie e si poteva andare dalle perle ai più economici semi dell’albero del mogano o noccioli di olive. Nel XIII secolo poi i monaci cistercensi elaborarono, a partire da queste collane, che allora si conoscevano con il termine di “paternoster”, una nuova preghiera che chiamarono rosario, devozione questa in seguito resa popolare da San Domenico. Secondo la tradizione, infatti, quest’ultimo ricevette nel 1214 il primo rosario direttamente dalle mani della Vergine Maria, nella prima di una serie di apparizioni, come un mezzo per la conversione dei non credenti e dei peccatori. Il movimento circolare che si fa sgranando il rosario simboleggia il percorso spirituale del cristiano verso Dio: un lungo ritorno. Oggetti simili al rosario sono rintracciabili in varie religioni oltre a quella cattolica: nell’induismo, nel buddhismo, nell’islam e nell’oriente cristiano. Di solito la corona del rosario è formata da 50 grani in gruppi di dieci (le decine), con un grano più grosso tra ciascuna decade. Alcuni rosari però presentano centocinquanta o cento grani: tali numeri sono stati scelti in passato per corrispondere al numero dei salmi o ad una frazione di essi, ovvero due terzi dei 150 salmi; mentre il rosario francescano, anziché avere 50 grani, ne ha 70.

Informazioni utili per andare a visitare la “bella peccatrice”:

Museo Pignatelli Cortes e Museo delle Carrozze – Riviera di Chiaia n. 200 – Napoli

e-mail: [email protected]

orario: 8.30-13.30, chiuso il martedì

Costo del biglietto:

ingresso (indicativo): euro 2 (tariffa intera) – euro 1 per residenti UE 19-24 anni; gratis under18 e over 65; 10% di riduzione con Artecard. (tariffa ridotta)

Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità (terza parte)

SETTIMA SALA

Quello che abbiamo potuto vedere in questo nostro viaggio è sì il denaro nella sua accezione negativa ma tale denaro fu per secoli strumento dei grandi mecenati per comprare e far usufruire al mondo della bellezza.

Hans Memling Particolare con Benedetto Portinari dal “Trittico Portinari” (1487) olio su tavola Galleria degli Uffizi, Firenze

Tra i raffinati committenti di opere d’arte vi fu sicuramente la famiglia Portinari, i cui membri furono personaggi di spicco nella Firenze medicea, responsabili anche di filiali del Banco Medici all’estero ma che, proprio per le loro eccessive spese, lo fecero fallire a Bruges. Qui è ritratto Benedetto Portinari col suo Santo omonimo accanto, in un’opera del fiammingo Hans Memling, originariamente un trittico con al centro una Madonna col Bambino, oggi a Berlino.

 

 

 

 

 

Altro grande e raffinato mecenate fu Filippo Strozzi, al quale si deve anche il Palazzo omonimo che ospita questa mostra, Di Palazzo Strozzi Filippo voleva fare la più grandiosa costruzione dell’epoca, a simboleggiare la potenza della sua famiglia. Si trattò di preparativi molto complessi, dovuti non solo alla grandiosità della costruzione, ma anche al fatto che essa era destinata a modificare profondamente il tessuto urbano circostante, per il fatto che la nuova costruzione avrebbe comportato una riduzione dell’ampiezza della piazza antistante. Addirittura la data e perfino l’ora della posa della prima pietra non fu lasciata al caso. Filippo, con l’aiuto di un astrologo, scelse il 6 d’agosto 1489 alle ore 10 e 1/6 poiché proprio in quel momento saliva ad oriente il segno del leone che avrebbe portato fortuna alla casa e a tutti i suoi abitanti. In realtà non fu proprio così perché, nonostante tutti gli accorgimenti, subito dopo la morte dello Strozzi ebbero inizio i litigi fra i suoi tre figli e il palazzo rimase incompiuto.

Domenico Ghirlandaio “Adorazione dei pastori con Filippo Strozzi Bottega” (1487-1488) Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen
Lo Scheggia “Desco da parto col gioco del civettino” (Metà XV sec.) Museo di Palazzo Davanzati

Abbiamo parlato del matrimonio e del funerale come due momenti di grande dispendio, ma anche il parto non era da meno, per sfoggiare oggetti di grande finezza, anche se di uso domestico. Per esempio il cosiddetto “desco da parto” dipinto dallo Scheggia. L’artista probabilmente dovette fare i conti con il confronto ingombrante quanto inevitabile con la geniale personalità del fratello Masaccio che, pur morendo precocemente nel 1428, aveva segnato una svolta profonda nell’arte italiana. In compenso Giovanni seppe ben interpretare l’andamento del mercato d’arte che, dagli anni quaranta in città, vide un netto incremento delle richieste di commissioni private. Il tema raffigurato su ambo i lati è il gioco, perché era considerato un augurio per la coppia di fertilità. Sul fronte, in uno scenario urbano inquadrato prospetticamente, tre giovani in camicia e calze suolate stanno facendo il gioco del civettino o della civetta: il ragazzo al centro deve colpire gli altri due, trattenuti coi piedi, senza farsi colpire a sua volta. Intorno a loro altri giovani uomini passeggiano a coppia, elegantemente vestiti.

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