Archivi categoria: Esperienze con le opere d’arte

Cassandra e il Principe

Cassandra Luci nasce a Roma nel 1785, la sua vicenda è legata soprattutto alla sua relazione con il principe Stanislao Poniatwski, nipote dell’ultimo re di Polonia Stanislao II. Egli, che fu un grande mecenate, amante delle arti e collezionista, era più volte stato nella capitale italiana, fino a quando non decise di trasferirvisi definitivamente e, nel 1800, acquistò una bella villa in via Flaminia, con magnifica vista su Villa Borghese. Grande proprietario terriero in Polonia, Stanislao divenne in breve grande proprietario anche in Italia: egli passava l’inverno a Roma, la primavera e l’autunno sul lago di Albano e l’estate nei suoi possedimenti di San Benedetto, a pochi chilometri da Mantova.

È proprio a Roma che incontrò Cassandra, nel 1804, e fu subito un colpo di fulmine: lui aveva 50 anni e lei 21. Fu un amore tormentato il loro, già dal loro primo incontro: la Luci si era disperatamente rifugiata nel palazzo Poniatowski di Via della Croce per sfuggire all’ennesima scenata di gelosia di suo marito, l’anziano e burbero Vincenzo Venturini Beloch.

Cassandra e Stanislao si innamorarono, tanto che decisero prestissimo di sposarsi. Il problema era però il marito di lei. Invano il principe tentò di ottenere l’annullamento di tale matrimonio dalla Sacra Rota, fino a quando dovette elargire un lauto compenso al Beloch perché rinunciasse a ogni diritto matrimoniale. Finalmente poté unirsi alla sua amata Cassandra, da lui ribattezzata Caterina, nome molto caro ai Poniatowski.

Ma il loro amore non aveva finito di incontrare ostacoli perché la loro relazione suscitò grande scandalo e i due ebbero addirittura 5 figli fuori dal matrimonio, tra il 1806 e il 1816, una cosa impensabile per l’epoca: Isabella, Carlo, Costanza, Giuseppe e Michele. Lo scandalo fu tale che i due amanti decisero di scappare da Roma e trasferirsi a Firenze, dove abitarono a Palazzo Capponi in via Larga, l’odierna via Cavour, al numero civico 18. Qui il principe trasferì la sua ricchissima collezione di quadri, statue romane, medaglie, glittica antica e libri rari, poi dispersa dagli eredi dopo la sua morte.

Solo nel 1822 Stanislao ottenne dal granduca la possibilità di riconoscere i propri figli, quando finalmente furono “abilitati a godere delle prerogative ed onori della Nobiltà, ad essi competente per diritto di sangue”. E solo nel 1830 riuscì finalmente a sposare Cassandra Luci che però lasciò vedova soltanto tre anni dopo. Continua la lettura di Cassandra e il Principe

Tecnica per scolpire un sentimento

 

I modelli in gesso di Lorenzo Bartolini, visibili per la prima volta presso le Antiche Stanze di Santa Caterina a Prato, non costituiscono l’opera conclusa ma, al pari di schizzi preparatori, sono il passaggio intermedio tra l’ idea di base e il capolavoro finito.

Strumenti in legno di Lorenzo Bartolini

In particolare le statue del Bartolini, che fu uno dei più famosi ritrattisti, richiesto dai più illustri personaggi del suo tempo, venivano realizzate dopo un metodico e precisissimo studio.
Innanzitutto dal primo progetto su carta, si procedeva ad una prima modellazione in argilla di ciò che si voleva realizzare. Gli strumenti in legno presenti nella teca di cristallo, all’inizio del percorso espositivo, erano usati dallo scultore per modellare la creta, tra questi si trovano stecche di vario tipo: a punta, piatte o stondate. Per lisciare le superfici e portare via il materiale in eccesso, infine. veniva usato un raschietto, una specie di pettine con denti molto corti.

Dalla forma in argilla si otteneva un calco, colando del gesso tutto intorno all’opera e lasciando delle intercapedini per l’apertura dello stesso. Il calco è cioè il “negativo” dell’opera in argilla ed è costituito da almeno due parti anche se, chiaramente, più complesso e articolato è il modellato, più numerosi devono essere i tasselli che lo compongono. Solitamente i particolari fragili, come il naso, venivano ottenuti con un calco a parte.
Il modello quindi si otteneva nuovamente colando del gesso questa volta all’interno del calco precedentemente ottenuto, per averne il “positivo”. Una volta rappreso il gesso il calco poteva essere aperto. Per non fare attaccare il gesso colato alla forma, su quest’ultima, veniva steso del distaccante, una materia di natura oleosa, un po’ come si fa per le teglie prima di mettere il composto della torta in forno. Alcuni modelli presentano ancora tracce di questa sostanza sulla superficie, come si vede in alcune macchie sulla capigliatura e sulla bocca del busto di Cassandra Luci, la Principessa Poniatowski, o sul “Sonno dell’Innocenza”, presenti in mostra.

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Quello sguado verso il cielo

Lorenzo Bartolini "La Fiducia in Dio" - 1837
Lorenzo Bartolini “La Fiducia in Dio” – 1837

Mi lascio cadere sul pavimento, in ginocchio, le mani unite sulle gambe, le spalle rilassate, la schiena ricurva e guardo il cielo…

Una posizione questa che, almeno una volta nella vita assumiamo, o per disperazione o per stanchezza. L’opera più famosa di Lorenzo Bartolini, “La Fiducia in Dio”, ha insieme proprio questi due aspetti: una ricerca intima spirituale, attraverso una sorta di preghiera silenziosa, e la fisicità di un momento di abbandono.

Nel 1834 la nobildonna Rosa Trivulzio Poldi Pezzoli commissionò quest’opera allo scultore pratese in memoria del marito defunto e rappresenta il suo abbandono totale nella fede dopo il lutto. Si narra che l’artista prese spunto da una bellissima ragazza, una modella, che aveva posato per lunghe ore consecutive davanti agli artisti che la ritraevano. Il Bartolini decise però di non riprenderla in posa, ma nel momento nel quale lei si lascia andare alla stanchezza e, stravolta, si inginocchia, come a sospirare dopo tanta fatica.

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