Archivi categoria: Creatività in famiglia

Il “Girotondo” delle immagini nell’apprendimento di bambini da 1 a 2 anni

Henri Matisse “La Dance” 1910 olio su tela di cm 260 x 391 Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo

Martedì 29 maggio 2012

Fare giochi insieme al proprio bambino stimola il linguaggio. Vi racconto l’ultima strabiliante esperienza:

Tutto è iniziato ai giardini, posti che aiutano molto i bambiuni a socializzare e, anche quando sembra che stiano in disparte e si limitino ad osservare, stanno costruendo dentro di sè quall’impalcatura di associazioni e riflessioni alla base dell’apprendimento. Questo lo dimostra il fatto che, giorni dopo l’ “osservazione”, il bambino imita azioni o suoni visti. Nel mio caso mio figlio, di quasi 20 mesi, ha visto fare il classico “Giro Girotondo” ad una mamma con la sua bambina. La madre in questione gli ha poi proposto di farlo tutti insieme. Lì per lì, sicuramente, perché si trattava di una cosa insolita e sconosciuta, mio figlio Cosimo si è dimostrato restio e voleva limitarsi ad osservare. Due giorni dopo questo episodio però inizia a dire, con notevole frequenza durante la giornata, una parola come “TONNO”. Non capivo inizialmente a cosa si riferisse perché gli ho spesso parlato dei pesci dato che è molto interessato agli animali in genere, ma mai gli avevo parlato del “tonno” nello specifico. Solo quando gli ho proposto in casa di fare il Girotondo col padre, ecco che lui ha ridetto “TONNO”. Sono anche le nostre, come genitori, scoperte fantastiche. Tonno era “tondo”, come girotondo. Adesso quando gli propongo di farlo si illumina con un bel sorriso. A me piace associare l’esperienza quotidiana all’arte, così ho proposto a mio figlio la Danza di Matisse che mostra un coloratissimo girotondo. Lui l’ha riconosciuto immediatamente e la visione ha stimolato suoni e voglia di giocare.

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In arrivo bella notizia per San Valentino: L’amore è eterno, non solo finché dura…

Può davvero esistere un amore eterno, che dura a dispetto del tempo e dello spazio, a dispetto addirittura della morte e dell’oblio?

Sarcofago degli sposi

Beh guardando i due sposini etruschi distesi sul loro letto/sarcofago, ritrovato a Cerveteri e conservato oggi al Museo di Villa Giulia a Roma, si direbbe proprio di sì. Già la stessa idea del tempo si perde guardandoli e pensando che ci arrivano dal VI secolo a.C. Ogni cosa ci parla del loro amore, in particolare i gesti affettuosi, che rivelano sicuramente anche un reciproco rispetto. Non esistono infatti gerarchie di sorta fra l’uomo e la donna ma sono sullo stesso piano. Del resto il ruolo della donna nella civiltà etrusca era assolutamente paritario all’uomo, a differenza invece di quanto fu per la civiltà greca e romana.

Il marito così appoggia dolcemente la mano sulla spalla della donna mentre, sorridendo, brindano al loro amore. Un tempo infatti, le loro mani dovevano reggere coppe e patere, piatti questi ultimi ampi e poco profondi, usati nell’antichità appunto per bere. Un’altra bella coppia, simile a questa di Villa Giulia, si trova al Museo del Louvre, solo che quelli non stanno bevendo ma dandosi il profumo sui polsi a vicenda. Con i nostri sposi invece ci ritroviamo immersi improvvisamente all’interno di una scena di festa e si tratta, niente meno, che del loro banchetto funebre. Per gli etruschi la morte era una cosa da festeggiare, il raggiungimento di una totale beatitudine, come si percepisce dai due volti così sereni, dopo gli affanni della vita. Era una fase nella quale non si abbandonava niente ma anzi venivano intensificati i momenti felici. Così le raffigurazioni dell’uomo dopo la morte dovevano rappresentare sostanzialmente delle prosecuzioni di ciò che di bello si fa nella vita quotidiana, come mangiare.

Ed anche il nutrimento, nella civiltà etrusca, non era semplicemente un’azione volta al sostentamento, ma una sorta di rituale, un momento sacro che andava consumato lentamente, magari meditando davanti a musici, danzatori e addirittura gare ginniche che facevano da contorno al tutto. Che differenza con i pasti dell’uomo di oggi, sempre così di corsa e che spesso si ritrova ignaro anche di cosa ha ingurgitato cinque minuti prima!

Tutto è estremamente sfarzoso a partire dai colori, in alcune parti ancor oggi conservati, che rivestivano completamente i corpi della coppia in terracotta. Già in epoca romana la raffinatezza, il buongusto e l’amore per le cose lussuose erano tutte caratteristiche riconducibili alla civiltà etrusca. Si arrivò addirittura a sostenere che gli etruschi si fossero estinti perché pensavano soltanto a tre cose: mangiare, bere e fare l’amore. Ci si scandalizzava anche del fatto che mangiassero due volte al giorno, da qui l’appellativo infamante di “gastriduloi”: schiavi del ventre, tanto che era popolare l’immagine dell’etrusco obeso.

Anche il cibarsi, riccamente adorrnati, non attorno ad un tavolo ma semidistesi sul “triclinio” cioè, tre letti a forma di T, da qui il nome, (un lato era lasciato libero per permettere il passaggio di coloro che servivano) è certo sinonimo di essere amanti del piacere e dell’agio. I nostri due sposi ci mostrano anche delle raffinate coperte ed un morbido cuscino, dai quali spuntano ricami ad onde. L’uso del triclinio per mangiare fu continuato e particolarmente amato anche dai romani. Certo, come in ogni epoca, la tavola dei poveri era molto più frugale di quella dei ricchi.

E cosa staranno bevendo così soddisfatti? Naturalmente del vino.

Molti reperti archeologici risalenti alla civiltà etrusca testimoniano del largo uso di questa bevanda in occasione di cerimonie e banchetti. Il vino rappresentava comunque l’elemento integrante della dieta mediterranea, anche perché molto energetico. Quando gli etruschi arrivarono nella penisola italiana (secondo la tradizione, tramandataci dallo storico greco Erodoto, provenivano dalla Lidia, cioè l’attuale Turchia anatolica meridionale), trovarono una terra adattissima alla coltivazione della vite, tanto che fu chiamata Enotria, cioè la terra del vino. Nelle tombe del Chianti sono stati ritrovati semi di vite che rivelano la loro provenienza dall’oriente. Gli etruschi usavano la “vite maritata”, cioè accoppiata, appoggiandola ad una pianta di olmo, affinché potesse crescere più forte, circondandola poi di siepi per essere protetta dagli animali.

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