Era una sera d’inverno del 1285. La neve cadeva a larghe falde nelle strette gole della Valle del Bisenzio. Un ventenne poeta saliva freddoloso, intirizzito, ghiacciato, l’erta disastrosa del castello di Cerbaia. La porta rotonda dai chiodi di ferro che gli si presentava avanti alla vista, era per lui un faro in quel mare di neve. Mentre saliva pensava alla gentile accoglienza che sicuramente gli avrebbe accordato il barone o il castellano che avrebbe trovato; forse la sua giovane mente si spaziava in sogni dorati, in fantasie da poeta. Si accostò così alla porta ferrata e chiese ospitalità, ma il ponte a levatoio rimase immobile: nessun portiere, nessun valletto corse ad aprire, mentre la neve continuava a cadere fitta e gelata. Pregò nuovamente, per l’amor di Dio, ma invano. Fu un pastore di una capanna poco lontana ad offrire ricovero al grande poeta, al più grande italiano che sia stato mai: Dante Alighieri.
Così racconta Vittorio Ugo Fedeli, erudito raccoglitore di memorie storiche e leggende locali, nell’“Edizione Rarissima” del Bollettino dell’Esposizione Artistica – Industriale di Prato del 1880, l’aneddoto, divenuto famoso, della vita di Dante.
Vent’anni dopo, l’Alighieri “condannò” per l’eternità a quel terribile e disperato gelo che aveva dovuto vivere lui in una notte d’inverno, quegli stessi baroni dal cuore di ghiaccio. Nel Canto XXXII dell’Inferno, infatti, Dante li imprigionerà nella “Caina”, confitti in un lago di ghiaccio fino al collo.
“Se vuoi saper chi son cotesti due,
La valle onde Bisenzio si dichina
Del padre loro Alberto e di lor fue.
D’un corpo usciro: e tutta la Caina
Potrai cercare e non troverai ombra
Degna più d’esser fìtta in gelatina”.
La Caina deve il suo nome al personaggio biblico Caino che uccise Abele ed infatti, in questo passo dell’Inferno di Dante, sono puniti i traditori dei parenti. Quei baroni erano i fratelli Napoleone ed Alessandro degli Alberti che, l’odio di parte e motivi d’interesse, li portarono addirittura ad uccidersi l’un l’altro.
Ma questa fu uno dei tanti episodi di sangue per i quali si macchiarono per generazioni i membri della famiglia degli Alberti e che vide come palcoscenico d’eccezione proprio la Rocca di Cerbaia, un castello, oggi in rovina. La costruzione, che deve risalire agli inizi del XII secolo, si trova nella zona di Cantagallo, provincia di Prato, su di un colle che si erge sul fiume Bisenzio, a 400 metri di altezza. Un posto questo di grande fascino e mistero, solitario, in mezzo al verde.
Si può visitare il castello su prenotazione: Chora Società Cooperativa Tel.: 380 6851152 – e-mail: [email protected]