Entrando casualmente in uno dei tanti Palazzi storici di Prato la sensazione è quella che in ogni angolo della bella città toscana ci sia un piccolo scrigno tutto da scoprire. Quest’oggi parliamo di Palazzo Pacchiani situato nei pressi di quella che era Porta Fiorentina, in Palazzolo, attuale via Mazzini. Anche questo, come gli altri palazzi del centro storico, apparteneva ad una famiglia, in questo caso la famiglia Pacchiani, che è stata la più importante per quanto riguarda la lavorazione tessile pratese, insieme ai Mazzoni. Adiacente al Palazzo vi era infatti proprio la Fabbrica Pacchiani in cui si producevano i famosi Berretti alla Levantina, chiamati “Fez”, che venivano esportati in Medio Oriente. Si presentavano di lana il più delle volte di colore rosso e prendevano il proprio nome dalla città di Fez, in Marocco, da cui sembra siano originari. Tali particolari berretti furono testimoni della ripresa produttiva avvenuta nel XVIII secolo con la sempre maggiore meccanizzazione del settore tessile.
Oggi Palazzo Pacchiani, dopo essere stato sede dell’Istituto Professionale Marconi, è divenuto “Urban Center”, spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea e al dialogo tra arte e città. Fino al 10 ottobre si può visitare la mostra di arte contemporanea “Urbana Vestigia”. Gli artisti che espongono le loro opere sono: Beatrice Gallori, Fabio Inverni, Fernanda Morganti e Rudy Pulcinelli. La mostra, che fa parte della programmazione di Prato Estate “Il Tondo del Mercatale”, è un progetto curato da Ilaria Magni, Direttore di Arte in Toscana, è organizzato in collaborazione con il Comitato di Piazza Mercatale, col patrocinio del Comune di Prato.
Il 23 luglio è avvenuto l’incontro con gli artisti mentre il prossimo evento da non perdere per chi voglia approfondire la poetica dell’arte dei nostri tempi, si svolgerà il 2 ottobre 2013 presso l’auditorium di Palazzo Pacchiani. La psicologa e psicoterapeuta Dott.ssa Valentina Panella dell’associazione “Armoniosamente Lab”, terrà una conferenza di “Arte e Psicologia”.
Il primo impatto, entrando nella prima sala del percorso di Palazzo Pacchiani, ce lo da l’artista Rudy Pulcinelli con al sua scultura “Obbiettivo mancato”.
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MOVING IMAGE IN CHINA: la poesia della Videoarte cinese al Museo Pecci (seconda parte)
SALA 2
La videoarte, soprattutto ai suoi esordi, è sicuramente legata alla nascita dell’arte concettuale che aveva portato una rivoluzione profonda dei linguaggi. L’arte non è più separata dalla vita ma l’arte diviene la vita, anche nella sua principale condizione di svolgimento nel tempo.
“Baby Talk” (linguaggio infantile) di WANG GONGXIN (Pechino, 1960). Un lettino da neonato con le sbarre reclinate così possiamo affacciarci, come avevano fatto i personaggi proiettati. Sono i familiari mentre fanno i classici versini al piccolo e noi li possiamo vedere quasi con gli occhi di lui su di una letto di latte. Anche qui il movimento è quello della vita ma rivissuto come al rallentatore per fermare attimi che invece scappano velocemente. Un omaggio dell’artista al fatto che era appena divenuto padre è un’opera di grande importanza perché, oltre ad essere di grande effetto è stata la prima video installazione ad utilizzare un video proiettore. Siamo nel 1994. Il lavoro di Wang Gongxin non segue una linea narrativa ma descrive un momento rubato al tempo. Wang non commenta mai né descrive le sue opere ma ci lascia completamente liberi di meravigliarsi di fronte a loro.
MOVING IMAGE IN CHINA: la poesia della Videoarte cinese al Museo Pecci (prima parte)
Benvenuti alla prima grande mostra sulla storia della videoarte cinese, realizzata in collaborazione con il Minsheng Art Museum di Shanghai. Il titolo è “Moving Image in China” e appare subito interessante l’iseazione di una tale mostra proprio in una città come Prato, così densamente abitata dalla popolazione cinese. Ancora una volta il Museo Pecci si trova ad essere un importante veicolo di confronto culturale dai risvolti veramente affascinanti. In particolare si vuole affrontare la storia del Moving Image (letteralmente Immagini in movimento) che da noi si tradurrebbe meglio con storia dei “New Media”, cioè dei nuovi mezzi che partono dalla nascita del video fino ad arrivare all’immagine digitale e all’animazione. Quindi la nostra mostra segue un ordine cronologico che parte da una data precisa, il 1988, data di nascita della videorate in Cina. E già qui abbiamo una sostanziale differenza con l’Occidente, dove non esiste un anno preciso cui riferire la nascita di questo nuovo linguaggio, né sappiamo chi lo portò di fatto per primo avanti, sappiamo però che le prime esperienze sono degli anni 60. Quindi si vede già uno scarto tra l’Occidente e la Cina per la nascita della videoarte di circa 25 anni, quindi di una generazione. Questo dovuto anche alla situazione politica della Cina contemporanea. E facciamo allora un brevissimo quadro strorico, che vedremo ci tornerà molto utile. Alla metà del ‘900 ci fu la Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong ed un controllo forte sulla popolazione; scrittori e intellettuali in particolare dovevano affrontare rigidi controlli ideologici. Tutta questa situazione si accentuò tra il 1966 e il 70 con la Rivoluzione Culturale e l’uscita del famoso Libretto Rosso di Mao, il quale sancì la definitiva vittoria del Partito Comunista: ogni forma di opposizione fu duramente combattuta dalle Guardie Rosse. É solo alla fine degli anni 80 che le politiche culturali si fanno meno rigide e agli artisti è concesso di confrontarsi con le opere occidentali. In particolare 2 furono i centri più aperti all’esterno, dove gli artisti potevano reperire testi sulle avanguardie europee: l’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino e l’Accademia del Zhejiang ad Hangzhou, divenendo due centri fondamentali per la nascita della nuova cultura.
Ma torniamo alla data dalla quale prende avvio il nostro viaggio: il 1988, la nascita della videoarte, il padre fu Zhang Peili e il video in questione è 30×30. Ma andiamolo a vedere…
SALA 1
30×30 è la dimensione dello specchio che Peili (1957 Hangzhou)rompe e restaura, reincollando pezzettino per pezzettino pazientemente per poi rirompere e restaurare in un’azione infinita registrata da una telecamera fissa. Il filmato dura 180 minuti, tempo massimo consentito allora ad una registrazione video. L’opera fu mostrata per la prima volta alla mostra “The China Avant-Garde” del 1989, che fu di fatto la prima esposizione d’arte non ufficiale organizzata col consenso delle autorità. Insegnante per 22 anni e poi preside del Dipartimento dei New Media alla China Academy of Fine Arts, l’istituzione artistica più importante del Paese, Peili commenterà la sua opera 18 anni dopo la sua realizzazione. “Volevo creare un lavoro estremamente noioso”, dice, e già con questa frase ci troviamo di fronte a quella che è l’essenza di questa nuova forma d’arte legata al video: la dimensione temporale e il costante stimolare la pazienza e la curiosità nello spettatore. Ci aspettiamo sempre che succeda qualcosa da un momento all’altro e poi…?